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Albetto edizione 2006

Tempo di cambiamenti
di Nicola Peruzzi

Cambiamento. Questa è l’essenza di John Doe, creazione delle fertili menti di Lorenzo Bartoli e Roberto Recchioni e delle matite di Massimo Carnevale in primis e di tanti altri bravi disegnatori nostrani esordienti poi. Dall’ormai lontano giugno 2003, data in cui comparve nelle edicole il primo numero della “scommessa” dell’Editoriale Eura – dal titolo La morte, l’universo e tutto quanto – , John Doe ci accompagna in un viaggio ai confini tra reale e surreale, tra vita e non-vita, tra amore e morte. Scommessa abbondantemente vinta, a quanto pare, in quanto la popolarità del buon Signor Morte continua a crescere tra il popolo internet e non solo.
Figlio della cultura popolare di ogni tempo e luogo, John Doe si propone di usare il medium fumetto come un veicolo che raccolga tutta una serie di intuizioni mutuate da altri media – cinema, televisione e fumetto in primo luogo – in modo da creare un unicum che esuli da tutti i generi e da ogni tentativo di definizione e che al tempo stesso, paradossalmente ma non troppo, li contiene tutti. Leggendo i 37 numeri finora usciti, viene da chiedersi cosa sia John Doe e a che categoria, o a che genere, appartenga. E’ un fumetto d’avventura? Un noir a tinte forti? Una storia fantasy/science fiction? Un road comic? Tutto e niente, al tempo stesso. Perché in mano a Bartoli e Recchioni, una sceneggiatura di John Doe diventa una tabula rasa che può affrontare qualsiasi tematica e genere narrativo in un tripudio di contaminazioni che rende il prodotto finito quantomeno originale.
Dal cinema prende a prestito i volti dei protagonisti (John Doe ad esempio, richiama esplicitamente il Tom Cruise di Vanilla Sky, tanto più che, per tutta la durata della prima stagione, anche lui possiede una splendida Mustang Fastback del ‘67) e numerose situazioni: tra sequenze e motivi, Bartoli e Recchioni citano ed adoperano in un gioco post-moderno di richiami e rimandi più o meno espliciti a numerosi titoli che spaziano dal cinema d’autore, al documentaristico al trash più sfrenato (provare per credere il numero 11 – Gli avvoltoi hanno fame). E si premurano di informarne puntualmente il lettore nella sezione “Contenuti Speciali”, in chiusura dell’albo. Dalla televisione, invece, è mutuato l’interessantissimo concetto di serial, per definizione un’opera di fiction dotata, ovviamente, di serialità. Ogni singolo episodio a fumetti è quindi strettamente interconnesso a precedenti e successivi in modo da formare la stagione, una grande unità narrativa che raccoglie 24 episodi della serie e tenta di tirarne le fila, lasciando comunque ampi spazi e margini di manovra per la stagione successiva. Gli autori di John Doe sono riusciti ad applicare con buoni risultati questo particolare meccanismo all’arte sequenziale in un esperimento del tutto nuovo e coraggioso per quanto riguarda il panorama italiano contemporaneo. Non solo, John Doe è stato anche tra i primi fumetti italiani a sfruttare il concetto di miniserie oggi adottato con successo anche da altre note case editrici. In sintesi, una sperimentazione continua. E’ altrettanto vero che John Doe, in questi tre anni di vita editoriale, ha risentito anche di alcuni difetti che hanno impedito un’immediata consacrazione. A livello grafico, la decisione di puntare in massa sugli esordienti ha inizialmente fatto emergere alcune incertezze tecniche dovute alla giovane età e all’inesperienza di alcuni disegnatori, otre che una mancanza di continuità grafica a livello qualitativo. Tutti i disegnatori chiamati in causa, c’è da dire, hanno saputo migliorarsi notevolmente e rinnovarsi con forza nel tempo (si vedano i progressi fatti nel corso di pochissimi albi da Elisabetta Barletta, autrice della storia questo albo, o da Riccardo Burchielli, esordiente in John Doe e attualmente al lavoro sulla serie regolare DMZ per Vertigo/DC Comics, per citarne alcuni dei tanti). Altro limite della serie, è la sensibile difficoltà che si riscontra a inizio stagione a trovare il giusto ritmo. Così come era successo nel corso della prima stagione, infatti, anche la prima metà di questa seconda soffre un po’ la fatica di trovare il giusto bilanciamento qualitativo, plausibilmente a causa del fatto che, essendo la serie caratterizzata da una forte continuità interna, all’inizio deve necessariamente porre le basi per ciò che accadrà alla fine. Il risultato è che dalla seconda metà di stagione, le storie di alta qualità, a livello sia grafico-narrativo che di coesione interna, si susseguono con più continuità, ma è inevitabile il sacrificio del singolo episodio in favore di una lettura “d’insieme”. Si tratta senza dubbio di una scelta dettata da motivazioni tecniche, ciò non toglie che il rischio è sempre dietro l’angolo.
Non è semplice parlare di John Doe, per tutti i motivi sopra citati e perché nell’arco di tre anni di pubblicazione, il personaggio è cambiato completamente. La prima stagione era incentrata sulla grande fuga del protagonista, reduce dal furto della Falce dell’Olocausto di Morte in persona, dopo aver scoperto l’intenzione della Trapassati Inc. di inscenare una piccola Apocalisse per coprire un falso in bilancio riguardante un ammanco di vite umane. John Doe decide di affrontare Morte per impedire che si verifichi il piano diabolico dei Cavalieri dell’Apocalisse, e per far ciò si trova lui stesso costretto, a fine stagione, a diventare un apprendista Morte, a sostituire in pratica la vecchia incarnazione per cercare di cambiare – di nuovo – in meglio l’intera dirigenza della Trapassati. La seconda stagione, invece, incentrata su di un nuovo John Doe de-umanizzato ma ancora tanto, troppo, legato alle pulsioni terrene, ha da poco superato la metà, e si incominciano solo adesso ad intravedere i segni di quello che potrebbe essere un ennesimo, ma non banale, scontro tra il bene e il male, dove però bene e male sono talmente mescolati e contaminati che si rischia sensibilmente di incorrere nel rischio di aver guardato fino ad ora le cose da una prospettiva quantomeno “viziata”.
Cosa resterà alla fine di questa stagione del John Doe che conosciamo? Solo gli autori lo sanno, e solo saper attendere potrà darci una risposta.
Quello che invece sappiamo con certezza è che la serie John Doe da tre anni continua a confrontarsi con scelte tecniche e narrative di rottura che di rado hanno fatto capolino nel fumetto popolare italiano da edicola: metareferenzialità, spiccato postmodernismo e contaminazioni linguistiche hanno fatto di John Doe un vero e proprio territorio di confine, in cui è possibile, se non auspicabile, sperimentare a tutto tondo.

Copertina albetto John Doe 2006 (di Massimo Carnevale)

Albetto John Doe 2006   Albetto John Doe 2006

Albetto John Doe 2006

Credits: 2006 JOHN DOE (Eura Editoriale) copertina di Massimo Carnevale, storia di Lorenzo Bartoli e disegni di Elisabetta Barletta.

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