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Narnia Fumetto intervista Dave Gibbons!

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Troppe cose sono cambiate in più di vent’anni perché si possano fare paragoni: l’atteggiamento degli autori, la maturità (e a volte il cinismo) dei lettori, la situazione politica mondiale. Tuttavia, secondo lei quale potrebbe essere la “mezzanotte” che dei moderni Watchmen dovrebbero affrontare?
È una domanda interessante. Io ritengo che la “mezzanotte” a cui ci riferivamo nel volume originale era quel tipo di catastrofe nucleare che era un timore molto reale a quei tempi, tant’è vero che era argomento anche di alcuni programmi televisivi. Uno dei miei preferiti si chiamava “Threads” e ti faceva davvero rendere conto di quanto fosse fragile la civiltà nei confronti di un attacco nucleare, e di quanto rapidamente tutto potesse crollare in pezzi. Perciò, credo che quello che avevamo in mente ora era un evento finale in particolare, che avesse un effetto a livello globale. Penso che ora la paura di un attacco nucleare sia regredita, se non altro perché da un evento tanto devastante se ne genererebbe un altro a catena dall’altra parte. Ovviamente le armi nucleari esistono ancora, ed è molto preoccupante pensare a quali usi ne potrebbero fare degli estremisti. Oggi, però, credo che si tratti più che altro di un insieme di “mezzenotti” minori, non so se mi spiego. Eventi di portata più limitata, come attacchi terroristici, portati con armi nucleari, biologiche o con munizioni di tipo più convenzionale. Credo che si sia perso il senso di una guerra fronte contro fronte, a vantaggio di una sensazione di corrosione sovversiva dei valori di quella che noi definiamo civiltà. A questo punto, non sono nemmeno sicuro che la “mezzanotte” esista. E credo che la situazione politica mondiale si sia diversificata molto, e certamente una delle superpotenze, la Russia, ha perso completamente la sua influenza sull’etica morale. È complicato per me pensare a un incidente che possa essere il fulcro di una moderna versione di Watchmen.


A detta delle riviste del settore e secondo alcuni articoli su internet, il suo contributo alla creazione del film di Watchmen è stato per lei un’esperienza veramente notevole. Ci sono altri personaggi o storie da lei creati o a cui lei ha collaborato, alla cui versione cinematografica vorrebbe collaborare?
Vedete, io sono un tipo da fumetti; per prima cosa, io amo i fumetti ed essi rappresentano il modo in cui io immagino le storie e con cui mi piace raccontarle. Ritengo che il fumetto sia un medium molto rispettabile e molto emozionante, con esattamente le stesse potenzialità del medium cinema. E di certo non penso che per un fumetto, l’essere trasposto in un film rappresenti un qualche tipo di elevazione in termini culturali o di modalità di esposizione di una storia. Io credo che Watchmen sia stato ideato come fumetto, e come fumetto funziona al suo meglio. Il fatto che da esso sia stato tratto un film è secondario; il fatto invece che questo film fosse un buon prodotto ha del miracoloso. Avrebbe potuto facilmente riuscire un brutto film. Credo che ci siano stati problemi di traduzione dal fumetto al film: qualcuno è stato superato, altri no, ma non riesco a pensare a qualcuno che avrebbe potuto metterci lo stesso impegno di Zack Snyder e del suo team. Per questo motivo, se proprio doveva essere creato un film di Watchmen, sono soddisfatto che sia riuscito nel migliore dei modi possibili. A me è piaciuto molto: posso solo sentirmi lusingato dal fatto che abbiano girato un film tanto coinvolgente e preciso nei dettagli. Detto ciò, tuttavia, quando mi siedo a creare un fumetto il mio pensiero non è “vorrei che diventasse un film” o “vorrei che in qualche modo diventasse il bozzetto di un film”. Abbiamo visto il film di Lanterna Verde, che di sicuro ha avuto un successo molto minore a Watchmen, ed eppure quello è stato un personaggio su cui ho basato gran parte della mia carriera nei fumetti americani; anche se il lavoro compiuto su di esso non è stato sostanziale, certo il mio nome vi è stato legato. Ovviamente, c’è anche Martha Washington che ho creato insieme a Frank Miller, e sono sorpreso che non si sia mai parlato di un film per questo. La trasposizione cinematografica sarebbe molto facile, e il processo sarebbe molto più lineare di quanto non lo sia mai stato per Watchmen. Ritengo che il suo personaggio, avesse un fascino particolare, anche se gli ultimi episodi risalgono a 7-8 anni fa e la maggior parte della serie fosse stata prodotta in un tempo ancora meno recente. Ha una bizzarra somiglianza col mondo di oggi, e penso che Martha potrebbe essere trasposta nel probabile futuro che vediamo con gli occhi del presente, così come era trasposta nel futuro che allora, negli anni ’90, io e Frank avevamo immaginato quando ci stavamo lavorando. Per cui, un film su Martha mi coinvolgerebbe molto. E sarei ancora più emozionato perché è un lavoro di cui abbiamo realmente possesso. Alan Moore ed io non abbiamo mai avuto diritti di proprietà su Watchmen. Invece avremmo un maggiore livello di controllo su un film di Martha Washington, il che sarebbe piuttosto interessante.


Come si è svolto il suo passaggio da disegnatore ad autore completo? Quali sono stati gli ostacoli maggiori che ha dovuto superare?
Bè, quando ero molto giovane non immaginavo proprio che i fumetti fossero disegnati da una persona e scritti da un’altra: credevo che fosse solo uno a creare il tutto e a firmarlo, come Bob Kane, ad esempio. Perciò, ho iniziato creando i miei fumetti tutto da solo. Solo crescendo mi sono reso conto che si trattava di due ruoli completamente differenti, e che probabilmente avrei dovuto imboccare una delle due strade. Questo in modo particolare perché, quando si comincia, è molto più facile mettere in mostra il proprio talento producendo disegni anziché opere scritte. Infatti, quando guardi un disegno, riesci quasi subito a capirne l’autore, mentre nel caso di un testo scritto devi spenderci un po’ più di tempo. Infatti, quando il mio lavoro è stato portato all’attenzione degli editori professionali, la mia arte è diventata immediatamente più accessibile, e io ho trascorso gran parte dei miei esordi a disegnare storie scritte da altri. Ma non ho mai rinunciato a scrivere le mie storie, e una delle conseguenze positive di Watchmen è stato l’effetto “scia”: si poteva leggere ovunque “creato da Dave ‘Watchmen’ Gibbons” o “dal co-creatore di Watchmen”, e in questo modo diventava più facile anche vendere i miei soggetti. Credo che questo sia stato uno dei risultati più positivi ottenuti attraverso Watchmen. Mi venivano offerti lavori di livello piuttosto alto: fin dall’inizio, mi è stato proposto da un editor DC un team-up di Batman e Superman, e ho potuto anche scrivere le storie Rogue Trooper, un personaggio che avevo creato negli anni ’80 insieme a un altro scrittore. Insomma, ho goduto fin dall’inizio di una buona visibilità. Poi ho scoperto che scrivere mi piaceva molto, e che stavo ricevendo delle buone risposte. E si tratta di una disciplina completamente diversa rispetto al disegno: riguarda sempre la narrazione di storie, ma è un’arte più concettuale che materiale. Quando disegni qualcosa, il tempo impiegato è circa quattro volte superiore di quello per scriverla, e questa è un’altra differenza. D’altra parte, però, quando scrivi devi partire da zero, invece di elaborare qualcosa che è stato già prodotto da un’altra persona. In definitiva, l’impegno è variabile e sono due discipline diverse. Ma non potrei dire di avere incontrato ostacoli da superare. Alcune opere sono state da me sia scritte e disegnate, e si è trattato di un impegno piuttosto gravoso, anche perché si potrebbe avere l’impressione di fare la stessa cosa due volte. Prima la evisceri ben bene scrivendola, poi ci passi sopra di nuovo da capo per disegnarla, e infine un’altra volta ancora per inchiostrarla. Uno dei problemi di noi artisti, infatti, è sentire che il proprio lavoro diventa stantio: ti sembra di avere già raccontato quella storia, o già detto quella battuta. In questo caso, diventa difficile. Io preferisco quando posso combinare lo scrivere per altri disegnatori con il disegnare storie scritte da altri, ed è quello che cerco sempre di fare, perché apprezzo moltissimo il processo di collaborazione, e ritengo che il prodotto finale che ne deriva sia spesso molto migliore delle singole parti. Mi piace quella sensazione di arricchimento reciproco che si ottiene quando si lavora insieme a qualcun altro.


Che ricordi ha del suo lavoro su Doctor Who, che di recente è stato riportato alla ribalta da una nuova serie televisiva?
Doctor Who mi sembra appartenere a un lontano passato. Ad essere onesti, non sono mai stato un fan del Dottore, ma mi è piaciuto l’insieme di fantascienza ed altri elementi creativi interessanti che dovevo rappresentare allora. Inoltre, ogni storia si svolgeva in un ambiente diverso, cosa che catturava l’interesse e donava sempre nuovi spunti di riflessione. Per di più, il Doctor Who che disegnavo principalmente era Tom Baker, il quale era molto divertente da raffigurare, essendo lui stesso una caricatura, e per lo stesso motivo rimanere nel suo stile non era difficile. Peter Davison aveva invece un aspetto molto più duro; trovo che sia un grande attore, e il suo Dottore era eccezionale, ma molto più difficile da disegnare, soprattutto vista la scarsità di riferimenti fotografici a mia disposizione. Comunque, ho seguito Doctor Who sempre a fasi alterne: non ne sono dipendente come alcuni miei colleghi, ma è bello vedere che finalmente dispone di un budget decente e dell’esposizione che probabilmente ha sempre meritato. È sorprendente che il personaggio sia ancora attuale dopo tutto questo tempo, e che ancora ristampino il mio lavoro. Di recente mi è stata spedita da un editore un’enorme edizione cartonata di tutto quello che io abbia mai prodotto sul personaggio. È tutta colorata in digitale ed è impressionante, anche se devo dire che continuo a preferire il mio lavoro in bianco e nero, versione per cui era stato creato. Tuttavia, sono veramente colpito dallo sforzo e dalla spesa che l’editore ha sostenuto per raccogliere tutto questo lavoro e modernizzarlo.


Lei ha collaborato alcune volte con la casa di produzione di videogiochi Revolution Software. Qual è il processo creativo dietro al contributo di un fumettista alla lavorazione di un videogioco? Quali sono i passaggi, e, se ce ne sono, le difficoltà di adattamento delle proprie abilità? E come cambia il fumettista, alla fine?
L’aria che si respira nell’ambito dei videogiochi è la stessa che nel mondo del fumetto. Di solito si incontra lo stesso tipo di entusiasmo, e questo è fantastico; ci sono sempre delle persone che sono cresciute con i videogiochi (o i fumetti) nelle proprie stanze, e crescendo desiderano produrre di propri. Inoltre, il tipo di collaborazione e crescita reciproca è la stessa, cosa che apprezzo molto. Poi, sia i fumetti che i videogiochi hanno lo stesso intento, cioè mettere insieme parti di una storia ed esporle in maniera molto diretta, così che siano coinvolgente per il lettore o il giocatore. Sono due campi molto simili fra loro, e le mie competenze si sono adattate molto facilmente ai videogiochi, perciò non c’è stato bisogno di un vero adattamento. Penso che si tratti di nient’altro che di un altro modo di raccontare storie per parole e per immagini. Nel caso dei videogiochi bisogna ovviamente anche aggiungere un certo grado di interazione, per cui le storie che scrivi devono essere aggiustate in questo senso, ma si tratta di una sfida interessante, non di una montagna da scalare.


In un’intervista concessa a Paul Duncan nel 1987 per la rivista “Arken Sword” (e riportata in Italia nel saggio “Watchmen – 20 anni dopo”) lei afferma che la messa in mostra delle singole pagine di un fumetto in una galleria non ha molto senso, perché si perde l’effetto emotivo dell’insieme quando sono decontestualizzate. La sua opinione è cambiata in questi anni?
No, non direi. Vedete, per me l’arte del fumetto non è l’arte del disegno, l’arte dell’illustrazione o l’arte dello scrivere storie, ma l’insieme di tutte quante. Si tratta innanzitutto di narrativa, e io penso che isolare delle singole pagine, o delle illustrazioni, per quanto possano essere d’effetto, porti a un risultato piuttosto statico. Io sono un vero sostenitore di quella che è la vera arte del fumetto: ci si può arrivare soltanto leggendo le storie, proprio come la vera arte del cinema non sono dei singoli fotogrammi o dei brevi estratti. Un edificio è un edificio: se ti concentri sulle porte, o su altri dettagli isolati, non ti darà mai l’impressione dell’edificio nel suo complesso. Per questo motivo, preferisco sempre comprare i fumetti stampati come esempio del lavoro di qualcuno, piuttosto che appendere le sue tavole originali al muro. Queste per me sono solo le componenti del vero prodotto finale, e cioè il fumetto che andrà in stampa: tutte le fasi vanno svolte in sua funzione.


Alan Moore ha rilasciato un’intervista allo scrittore Kurt Amacker per il sito Seraphemera.org, in cui è contenuta una critica molto aspra e dettagliata nei confronti suoi e della DC, riguardo alla speculazione compiuta su Watchmen. Vorrebbe affidarci la sua replica?
Mi dispiace, su questo non ho commenti da fare.
Le polemiche (specie su internet) sembrano essere il pane quotidiano del mondo dei fumetti anche in Italia. Lei ritiene che si tratti di un aspetto di questo ambiente da cui non si può fuggire?
A mio parere, internet è un ambiente molto volubile e molto reattivo. Ogni questione può essere portata a livelli parossistici dalla gente che imperversa nelle discussioni con i tipici commenti esagerati. È facile fraintendere il tono di una discussione per iscritto, per cui io tendo a tenermi alla larga dalle polemiche su internet. Non ho veramente né il tempo né la voglia di farmi coinvolgere da tali discussioni. Mi piace rendere chiaro il mio pensiero quando è giusto farlo, e, anche se in questo momento ci sono alcuni argomenti su cui non voglio espormi, alla fine lo farò sicuramente. Ma non ho intenzione di mettere niente di tutto ciò online. Per di più, è controproducente anche leggere recensioni dei propri lavori online. Se ti capita di trovarne in giro che riguardino un lavoro ormai chiuso è un conto, ma se ti trovi nel bel mezzo di una serie e leggi delle recensioni, sia positive che negative, è molto difficile tornare al tavolo da lavoro con la mente sgombra. A me piace internet: fa una gran differenza in questo campo, perché facilita le consegne, la ricerca dei materiali e i contatti con gli amici e i colleghi, ma ha i suoi lati negativi. Immaginate che scena: uno che finisca con l’andare a letto alle 4 del mattino, e la compagna che si sveglia chiedendogli: “Oh mio Dio, ma cosa hai fatto nelle ultime 5 ore?” e lui che risponde: “Mi dispiace, non potevo venire a dormire, perché uno su internet non era d’accordo con me e gli dovevo rispondere”. Devo stare molto attento a non fare una fine del genere, non posso permettermi di perdere tempo così.


Ultimo ma non ultimo: la nostra fiera del fumetto si è fregiata della presenza di molti altri autori internazionali come David Lloyd, Bryan Talbot e Alfonso Font. Tutti loro hanno avuto un’opinione molto positiva di Narnia Fumetto. Lei ha avuto da loro qualche tipo di feedback? O ha avuto magari qualche altro motivo per accettare il nostro invito?
Sono stato piacevolmente sorpreso dal vostro invito. Mi ricordo che Bryan Talbot mi raccomandò Narnia e ho sentito anche qualcun altro parlarne molto positivamente. È poi una zona veramente gradevole. Mia moglie ed io amiamo tantissimo viaggiare verso località interessanti mai viste prima, e siamo impazienti di vivere quest’esperienza. Per me sarà fantastico incontrare i fan italiani, chiacchierare con loro, rispondere alle loro domande, fare sketch e firmare autografi. Non vediamo l’ora di incontrarvi!
Grazie per la vostra intervista.Spero di non essere stato troppo opaco o evasivo nelle mie risposte… comunque, a presto!

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